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Lettera di Giorgio Boatti

Paviameteo dice no alla cementificazione della cittàPresentiamo qui la lettera scritta da Giorgio Boatti, e pubblicata su "La Provincia Pavese", in merito al noto e triste tema della cementificazione dell'area prossima alla Basilica di San Lanfranco.

Nel nostro piccolo, pensiamo che la costruzione della tettoia di piazza della Vittoria, del fallimento di alcuni progetti edilizi, del netto calo del numero di abitanti di Pavia città, non abbiano insegnato assolutamente niente.

Qui non si tratta di essere ambientalisti ed esponenti di Green Peace, ma di avere quel minimo di buon senso per capire che, davanti ad una Basilica di rara antichità, non si può e non si deve costruire.

Paviameteo non vuole che la propria città raggiunga la lunghezza d'onda di alcuni paesoni del nord milanese, iper cementificati e con pochi sprazzi verdi.

Sarebbe ora di pensare ad aumentare la qualità della vita dei nostri cittadini, piuttosto che continuare, senza riuscirvici, ad aumentarne la quantità.


Ecco la lettera.

La notizia che proprio accanto alla antica basilica pavese di San Lanfranco vogliono piantarci una bella lottizzazione edilizia da centomila metri quadri continua ad accendere reazioni, a tenere con vigore le pagine di questo giornale.E’ un segno di vitalità, di consapevolezza, di partecipazione al futuro della città che la politica farebbe bene a non sottovalutare. Poichè la scelta urbanistica rovesciata su San Lanfranco contiene una rude concretezza.
Parla più di tante belle parole rovesciate dentro il Pgt, il piano di governo del territorio elaborato dalla giunta del Mezzabarba.
Qui si vedrà davvero chi e come, al di là delle promesse e della rassicurazioni, tiene davvero la barra sul futuro della città. E’ su faccende come queste che si mette alla prova non un sindaco Cattaneo o un assessore Fracassi, ma tutta una comunità, quella in cui ogni cittadino deve sentirsi una sorta di «assessore al futuro», responsabile di una «città avuta in prestito» da chi ci ha preceduto. E da consegnare alle generazioni che verranno.
L’eventuale autorizzazione ad edificare indica un conflitto di vocazioni, su quello che Pavia vuole essere e diventare, delineato con chiarezza da cartolina. Oggi scendendo verso San Lanfranco dalla superstrada di Bereguardo, cosa vediamo? Vediamo la mole rossa della basilica. Vediamo il suo poderoso campanile. Se ci avviciniamo ci viene incontro, incantevole nella sua semplicità, la piazzetta davanti alla chiesa. Cogliamo l’eleganza di un complesso di edifici e di chiostri su cui finalmente si sta cercando di mettere mano e restaurare. Un patrimonio che appartiene a tutto questo territorio. Perchè San Lanfranco è parte fondamentale di quel cammino d’arte e di fede che nei secoli scorsi i nostri padri hanno scandito lungo il Ticino. Delineando il succedersi di luoghi sacri come San Michele e San Teodoro, San Salvatore e San Lanfranco che costituiscono le gemme di una collana che meriterebbe davvero di comporsi nel Parco delle Basiliche.
Ma quei centomila metri circostanti di proprietà del Policlinico San Matteo devoluti a una ennesima lottizzazione, mettono fine non solo al sogno di qualsiasi parco ma perfino di una decente tutela dell’antica basilica. San Lanfranco e tutto il complesso che l’attornia dialogherà con un boschetto di palazzine che riempiranno l’area tra via Riviera, via Adda e la superstrada che corre verso la tangenziale.
Forse voi siete convinti ancora che tangenziali, superstrade e strade di gronda varie vengano progettate per accogliere e incanalare la pressione di numero sempre maggiore di mezzi. Quei mezzi su gomma che - in un Paese come il nostro che non cura il trasporto pubblico, soprattutto su rotaia - servono a trasportare persone e merci. L’ipotesi che le strade servano a questo, è esatta ma al tempo stesso riduttiva. C’è una seconda ipotesi, aggiuntiva a questa, che vede le strade diventare di fatto la perimetrazione di aree che, vincolate o comunque sottratte alla speculazione edilizia, diventano poi altra cosa.
Si impongono come i contorni di uno spazio vuoto che qualcuno non vede l’ora di riempire. Guardate per esempio il tratto della superstrada che dal quartiere Pelizza va verso l’autostrada A7 in parallelo alla strada bereguardina. Per una ventina d’anni lo spazio frapposto tra le due strade era, agli occhi di tutti, una distesa verde e coltivata. Altri invece - che forse avevano opzionato a tempo l’area - vedevano qualcosa di diverso: uno spazio vuoto da riempire.
Dato tempo al tempo, ecco spuntare una fungaia di palazzi, villette, palazzoni che ora disegnano lo scorante profilo della città intravista da occidente. Lo stesso sta accadendo in tante località della provincia. E anche nel capoluogo, da Mirabello alla Sora sino alla tangenziale che ad oriente corre verso l’Oltrepo.
Quanto di errato è stato seminato negli scorsi anni dalla politica urbanistica pavese viene raccolto e continuato dai successori, d’altro colore politico, succeduti al vertice del Mezzabarba e di altri centri grandi e piccoli del Pavese, dell’Oltrepo e della Lomellina.
Seminare promesse di rispetto del territorio e poi mietere cemento e mattoni sembra essere la gravosa contraddizione di una classe dirigente incapace di offrire un progetto strategico complessivo di identità di una città che, invece, quasi fosse una crostata da pappare, viene intravista - e divorata - a fette. A spicchi... edilizi.
A Pavia a dover soffrire saranno la città e le sue più autentiche vocazioni che, da scelte urbanistiche come quelle che incombono su San Lanfranco, verranno penalizzate.
Poichè mentre con una mano si restaura l’antica Basilica, un’altra mano, seguendo il modello brianzolo di saturazione edilizia, la circonda con un nuovo quartiere di quasi mille abitanti. In nome di quale necessità, di quale patto o compensazione, di quale visione del futuro? Sarà il caso che Pavia e l’«assessore al futuro», quello che sta in ognuno di noi, ci riflettano. E si facciano sentire.