Il più potente temporale della storia pavese?

Dal racconto di amici e parenti, la sera di “lunedì 30 Agosto 1988” sarebbe stata caratterizzata da un fenomeno meteo estremo, che avrebbe portato molta paura e numerosi danni anche in città.

 

A quell’epoca, non avevo nemmeno compiuto i 3 anni, e pertanto i miei ricordi sono pressoché nulli.

 

Con l’aiuto degli archivi meteo del sito Wetterzentrale, si può però rivedere il tipo di circolazione che ci interessava in quel periodo:

 

Attorno al 28 Agosto, la nostra penisola si trovò avvolta da una vasta area anticiclonica di matrice sub-tropicale, richiamata dall’affondo di una notevole depressione centrata poco a sud dell’Islanda.

 

Nei giorni precedenti l'evento, alta pressione africana..

Nei giorni successivi, la depressione mosse passi verso levante, e fece affluire correnti instabili da SW in direzione del nord Italia: un fronte freddo valicò le Alpi durante la sera del 30 Agosto, scontrandosi con il notevole serbatoio di caldo e di umido accumulato nei giorni precedenti:

L'ingresso instabile

 

Probabilmente, la nostra provincia fu interessata da una Supercella, cioè da un fenomeno molto più potente di un normale temporale.

 

Qual è la differenza?

· I temporali comuni, una volta sviluppatisi in verticale, tendono ad appiattire la loro sommità, formando un disco definito “incudine”.

· Le supercelle, invece, non si appiattiscono, ma anzi proseguono la loro marcia verso le alte quote, bucando letteralmente l’incudine stessa.

 

Proseguendo il ragionamento ipotetico, potremmo immaginare che la città si fosse trovata a che fare con una HP – S, cioè con una High Potential Supercell, una supercella ad alto potenziale, in grado di recare condizioni di pericolo.

 

Ecco un estratto de “La Provincia Pavese” del giorno seguente:

PAVIA, INFERNO DI VENTO E GRANDINE

Repubblica — 31 agosto 1988   pagina 23   sezione: CRONACA

PAVIA - "Il diciassettesimo giorno sulla poltrona di sindaco ha portato disastri a Sandro Bruni, leader democristiano della nuova giunta che ha estromesso i socialisti. A memoria d' uomo non si ricordava un nubifragio simile a Pavia, che nel sole caldo del giorno dopo ha l' aspetto di una città bombardata. Ma il geometra Bruni non si è perso d' animo: completo grigio e walkie-talkie in mano, gira come una trottola dispensando ordini e rassicurazioni. E nel pomeriggio si mette anche a dirigere il traffico per ricevere il presidente della giunta regionale Bruno Tabacci. Il bilancio della bufera che lunedì sera per dieci minuti ha imperversato sulla città e sui dintorni è molto pesante. Al pronto soccorso del policlinico San Matteo sono arrivati 110 feriti, cinquanta dei quali sono stati ricoverati. Nessuno di loro, per fortuna, è grave. Una trentina di famiglie sono in albergo a spese del comune, perché le loro case sono scoperchiate. I danni sono gravissimi, anche se ancora difficili da calcolare: si parla di centinaia di miliardi.Il sindaco ha chiesto al ministro della Protezione Civile Lattanzio che venga dichiarato per Pavia lo stato di calamità naturale. L' inferno scoppia alle 21,30 di lunedì. Quello che era cominciato come un violento temporale estivo si trasforma in pochi secondi in una catastrofe. La pioggia diventa un torrente, il vento abbatte alberi e scoperchia i tetti, e la grandine è una mitragliata di chicchi grossi come le castagne d' India sugli ippocastani dei viali. In qualche minuto Pavia è una città in ginocchio, spazzata dalle raffiche e coperta d' acqua che i tombini non riescono a smaltire. Migliaia di pavesi lasciano contemporaneamente il televisore e si attaccano al telefono. Al buio, perchè la corrente è saltata, chiedono aiuto. Molti centralini si arrendono all' assalto delle chiamate. I pompieri corrono subito al policlinico San Matteo, dove gli scantinati che ospitano i generatori e le apparecchiature più importanti sono allagati. Decine di alberi sradicati dal vento si abbattono sbarrando le strade, e in un paio di casi svellendo le tubature del gas. Sulla statale dei Giovi crollano alcuni pali della linea elettrica. I vetri delle finestre, sotto le sventagliate di grandine, vanno in mille pezzi. Volano le tegole, le grondaie precipitano nelle strade. Alle 23 il sindaco Bruni, quando già i telefoni del municipio sono in tilt, chiede per radio l' intervento dell' esercito. Dalla caserma del battaglione Lario si muovono due ruspe e una decina di militari, e vanno a spostare i tronchi più grossi. Per le strade ci sono già una trentina di vigili urbani, settanta fra giardinieri e cantonieri, trecento fra poliziotti e carabinieri, un centinaio di vigili del fuoco arrivati anche dai comuni vicini e da Milano. Il sindaco e il prefetto Primo Petrizzi si danno da fare per coordinare questo esercito. Molti cittadini si presentano volontari. Le ambulanze scaricano al pronto soccorso i primi feriti. Gente che ha preso una tegola in testa, che è scivolata sulla grandine, che ha perso il controllo dell' auto. Ci sono anche i malati di cuore messi in crisi dallo spavento, e quelli rimasti chiusi nell' ascensore. Dopo una lunghissima notte di fatica e di terrore, Pavia si sveglia sotto un sole pallido ma caldo. Il panorama della città è desolante. Per terra, dappertutto, un tappeto di detriti inzuppati d' acqua. Lungo i viali di tigli e ippocastani, e accanto ai parchi fitti di pini, questo tappeto verde. Il vento, come una gigantesca motosega, ha troncato di netto rami grossi come un braccio. La grandine ha triturato le foglie. Centinaia di alberi sono caduti nel bosco Negri e nel bosco Grande. Nelle vie strette del centro storico il tappeto è una miscela di vetri, tegole sbriciolate e fango. Il vento ha accatastato la grandine in mucchi alti un metro, che ora sono blocchi di ghiaccio da demolire con le pale e i picconi. Decine di auto hanno i parabrezza spaccati. Una Citroen rossa, in via Palacense, è appiattita come una sogliola sotto una valanga di mattoni. Il pino secolare che si alzava dal giardino lì accanto è crollato abbattendo il muro di cinta, e si è appoggiato sull' altro muro al di là della strada. Altri pini vecchi e giganteschi sono stati sradicati nel parco davanti al castello visconteo. Il castello ha avuto danni gravi. Due torrioni sono parzialmente crollati, e da fuori si vedono i merli sfrangiati. Molti vetri sono caduti, e l' acqua ha invaso gli archivi e, in parte, la pinacoteca. Anche il duomo è ferito: alcune lastre di rame della cupola si sono sollevate. E poi l' università, il museo di scienze naturali, la biblioteca Bonetta: vetri rotti, allagamenti. La palestra della Società Ginnastica Pavese (di qui il 12 novembre 1879 Cesare Battisti ammonì: Italiani, ora o mai, ricorda una lapide) è occupata da cataste di tegole. Sulla strada la gente fissa con qualche timore la Torre di mattoni, una delle 163 che una volta affollavano il cielo di Pavia. I pavesi, sotto il sole, cercano di cancellare i segni del nubifragio. Spostano i tronchi, smuovono i mucchi di grandine, puntellano i muri, si arrampicano sui tetti per sistemare le tegole. Nelle campagne intorno i raccolti di riso e mais sono distrutti in gran parte: Quasi al cento per cento, dice Andreoni della Coldiretti. Gli industriali stanno facendo i conti: solo alla Necchi si parla di danni per cinque miliardi. E oggi la produzione nella zona è ferma. Pavia chiede aiuto, ma intanto si dà da fare." - dal nostro inviato FABRIZIO RAVELLI

E  voi, che ricordi avete dell'accaduto?

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