Soliti allarmismi, o dati reali?

 Il nostro Pianeta ha davvero la febbre?

Surriscaldamento del pianeta: fenomeno reale o percepito?

Fa sempre più caldo. Non è una percezione: ce lo confermano un’infinità di modelli matematici e di prove dirette e indirette. Una è proprio di questi giorni e sono i risultati dell’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental panel on climate change): 2500 scienziati, 6 anni di lavoro per quattro volumi di dati e previsioni sul clima e sugli effetti dell’aumento della temperatura sull’ambiente e sulla salute dell’uomo. Da qui al 2100 - è già trapelato - la temperatura potrebbe salire di 3-4 gradi centigradi, alla peggio anche di 6. Come dire che i ghiacci della Groenlandia potrebbero sparire e 2000 isole dell’Indonesia potrebbero finire sommerse dalle acque dell’oceano, il cui livello, già cresciuto negli ultimi decenni di una decina di centimetri, si innalzerà ulteriormente. Secondo le ultime misurazioni ufficiali, poi, il mese di dicembre 2006 è stato il più caldo mese di dicembre dal 1880: 4 gradi centigradi in più rispetto alla norma in varie regioni del mondo tra cui l’Europa.

E infine, siamo alla vera prova del nove: la preoccupazione per i cambiamenti climatici è passata dal mondo scientifico a quello politico-economico. Bush, il presidente del paese che è il principale inquinatore del mondo (il 31 per cento di anidride carbonica in atmosfera proviene dagli Usa) e che ha respinto il protocollo di Kyoto, il 23 gennaio scorso ha annunciato un piano per ridurre il consumo di benzina del 20 per cento nei prossimi 10 anni. Lo scopo? Abbattere la concentrazione atmosferica di gas a effetto serra. Anche i potenti della Terra danno oggi ragione agli scienziati che da decenni avvertono che il surriscaldamento del nostro pianeta è conseguenza non di fluttuazioni climatiche naturali ma delle attività umane che rilasciano in atmosfera tali quantità di gas-serra, soprattutto anidride carbonica, che oceani e foreste non sono in grado di riassorbire e tamponare. Se non invertiremo questa tendenza gli ecosistemi subiranno modificazioni, e noi, che degli ecosistemi siamo parte, pagheremo. In termini economici e di salute.

Gas serra e caldo possono influenzare la nostra salute?

In generale, la salute e la sopravvivenza delle popolazioni sono influenzate soprattutto dai fenomeni meteorologici cosiddetti estremi. Parliamo delle alluvioni provocate dall’evaporazione di grandi masse di acqua dagli oceani che si riversano violentemente sulla terra. Degli uragani, oggi sostanzialmente tropicali, che potrebbero perdere il loro carattere di eccezionalità e riguardare anche le zone temperate. Ma pensiamo pure all’innalzamento del livello dei mari, che potrebbero inondare molte aree costiere, le più fertili: senza spostarci nel Pacifico, è stato calcolato che per la fine del secolo anche parte delle coste delle zone temperate potrebbe essere sommersa dalle acque. Della desertificazione, un fenomeno già in atto per la verità, ma che se le condizioni climatiche dovessero inasprirsi costringerebbe specie in Africa e in America Latina all’abbandono di coltivazioni che già oggi resistono a temperature al limite del loro intervallo di tolleranza.

Ebbene, tutti questi fenomeni mietono vittime sia immediatamente, mentre sono in atto (pensiamo ai morti per alluvioni, uragani, tsunami, per acque contaminate dai danni alle strutture…), sia in modo ritardato (è il caso ad esempio della desertificazione, con carestie, siccità e morti per malnutrizione…), danneggiando economie già in bilico. Inoltre fenomeni di questo tipo, specie se frequenti, favorirebbero imponenti migrazioni Sud-Nord che, nei paesi occidentali incapaci di attrezzarsi, potrebbero esasperare conflitti sociali già oggi in atto.

Aumento del caldo: chi è più a rischio?

Passando agli effetti sui singoli, le statistiche sulla mortalità e sui ricoveri ospedalieri dimostrano che la mortalità annuale è direttamente correlata con il numero annuo di giorni caldi e che a soffrire gli effetti diretti, immediati per così dire, del caldo sono soprattutto gli anziani. Qualche cifra? Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2003 il numero di over 65 che hanno perduto la vita nel periodo estivo, tra il 16 luglio e il 31 agosto in particolare, è cresciuto del 19,1 per cento rispetto al 2002, incremento che nelle grandi città ha raggiunto il 40 per cento!

Tra le cause dei decessi il colpo di calore: scarsa ventilazione, elevata umidità e temperatura che impediscono l’evaporazione del sudore e quindi il raffreddamento corporeo provocando tachicardia, confusione mentale, nausea, fino, appunto, a morte. In condizioni di caldo eccessivo, poi, chi soffre di disturbi cardiocircolatori e polmonari - ancora una volta gli anziani più degli altri - può rimanere vittima di eventi acuti: in condizioni termiche estreme infatti il sistema cardiovascolare è costretto a un superlavoro.

I cambiamenti climatici favoriscono le allergie?

Il numero degli allergeni nei paesi occidentali negli ultimi anni è aumentato. Un incremento sensibile delle temperature potrebbe peggiorare le cose. Infatti, una condizione climatica nella quale l’autunno sempre più malvolentieri cede il passo all’inverno che a sua volta invece si arrende a una primavera anticipata fa sì che le fioriture, cioè le stagioni dei pollini, inizino sempre prima e durino sempre di più. L’ambrosia, uno degli spauracchi degli allergici, già oggi produce il doppio del polline rispetto a un secolo fa, stando ai dati del Dipartimento per l’agricoltura Usa. Ma quello che fa riflettere è che secondo uno studio di ricercatori di Harvard il fenomeno dell’iperproduzione pollinea, dell’ambrosia ma più in generale delle piante, sarebbe provocato sì dagli inverni miti ma non solo. Secondo questa ricerca e altre simili condotte in serre con atmosfera arricchita, l’anidride carbonica agirebbe sulla produzione pollinea direttamente, incrementandola di un valore che va, a seconda dei casi, dal 30 al 60 per cento.

La prevalenza di alcune malattie infettive potrebbe aumentare?

La diffusione delle malattie propagate dagli insetti è strettamente legata alla temperatura e all’umidità, di conseguenza malaria, ma anche dengue o febbre gialla sono, almeno in linea teorica, destinate ad aumentare... naturalmente se l’attuale trend di crescita termica non dovesse arrestarsi. Tra le regioni considerate a rischio - secondo i passati rapporti dell’IPCC - non c’è il nostro paese né gli altri che si affacciano sul Mediterraneo. Lo sono invece i paesi ai margini delle aree in cui la malaria è già endemica oggi. Stessa storia per la dengue e per la febbre gialla.

Inverni più caldi: ci si ammala di meno?

Si potrebbe pensare che non tutto il male viene per nuocere: se le temperature invernali aumentano, allora ci si raffredderà meno, ci si ammalerà meno di influenza, i cosiddetti malanni invernali insomma ci affliggeranno meno di quanto non facciano oggi. In effetti secondo i passati rapporti dell’IPCC già nel 2025 potrebbe essere evidente un calo dei decessi invernali, in genere oggi dovuti a complicanze di infezioni respiratorie: polmonite per esempio. Tuttavia sui benefici degli inverni miti non tutti sono d’accordo, perché se è vero che il numero delle giornate invernali tiepide è aumentato è anche vero che si registrano sempre più spesso repentini abbassamenti di temperature: nella capitale dai 15-16 gradi di un paio di settimane fa si è scesi a 4-5 gradi centigradi in non più di un paio di giorni. Proprio questi sbalzi, secondo alcuni, potrebbero favorire il propagarsi di virus e batteri.

A cura di Tina Simoniello


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